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Basketball is a mental game

Quartiere Delta

Sono Marco Nardini, psicologo clinico e specializzato in psicologia dello sport. Da anni, in parallelo alle mie esperienze nell'ambito clinico, collaboro con gli atleti per promuovere il loro benessere e la loro performance, il mantra che guida il mio lavoro è "Prima si sta bene e poi si compete".

Il mio interesse per gli aspetti psicologici dello sport nasce sin da quanto sono adolescente, quando ti accorgi che le gambe vanno ma tu non ci sei, ti domandi come mai l’allenamento precedente andavi forte mentre oggi fai molta più fatica, come mai la scorsa partita hai giocato e questa partita invece l’allenatore ti ha lasciato in panchina, cosa penseranno gli altri, cos’è quella sensazione strana che ti toglie il respiro e che ti annebbia la mente, perché anche se hai vinto non riesci a festeggiare con i compagni di squadra. Tutte queste domande mi hanno portato a soffermarmi su questi aspetti e a cercare di capire come fare o almeno a come vivermi meglio quel che alla fine è il gioco più bello che c’è.



Negli ultimi anni i temi del benessere e della salute mentale hanno cominciato a farsi spazio all’interno dell’opinione pubblica, molti personaggi di spicco hanno deciso di esporsi e di sottolineare come ormai non si possano più sottovalutare, che meritino la stessa dignità della salute fisica e questo lo si può notare da come la società abbia iniziato a creare un dibattito intorno a questi temi.

Allo stesso modo molti atleti hanno riconosciuto e si sono fatti portavoce dell’importanza della psicologia nell’ambito sportivo, alcuni esempi possono essere Kevin Love e Ricky Rubio, che si sono trovati a dover scegliere fra la propria carriera sportiva e la propria salute mentale. Dal mondo del calcio, il difensore della Fiorentina, Robin Gosens, si è fatto portavoce della causa. Lui ha deciso, in parallelo alla sua vita da sportivo, di studiare psicologia e diventare psicologo. Anche il calciatore ha sottolineato, come altri atleti, l’importanza di essere considerati persone e non solamente delle macchine da prestazione, che dietro ad ogni professionista c’è da considerare la parte umana, che può presentare comunque le proprie fragilità, i propri limiti e il dover far fronte alle difficoltà di ogni altra persona "comune". In un’intervista rilasciata ad una pagina sportiva ha dichiarato che appena si concluderà la sua carriera diventerà lo psicologo di un club in modo tale da poter aiutare tutti quegli atleti che avranno bisogno di sostegno, comprensione e aiuto per vivere la propria professione al meglio.



Un tema molto caldo che interessa noi psicologi dello sport ma dovrebbe soprattutto preoccupare le società è l’abbandono sportivo. In Italia sempre più ragazze e ragazzi smettono di praticare sport per i più svariati motivi, eccessive pressioni da parte di genitori e allenatori, lo sport non è più un piacere ma un obbligo, non ci si diverte più, la proposta non è adeguata, il contesto in cui si pratica sport non è sano, dinamiche di squadra caratterizzate da bullismo e discriminazione e potremmo continuare ancora. Un contesto sportivo sano permette ai giovani atleti di poter contare su una risorsa che può veramente fare la differenza. Tocca alla comunità (istruttori, allenatori, genitori, dirigenti, preparatori, atleti stessi) assumersi la responsabilità del benessere del contesto e della sua tutela.


Lo sport ci pone costantemente davanti a difficoltà alle quali è necessario rispondere mettendo in campo tutte le risorse necessarie. La mia motivazione nel lavorare con i giovani atleti è aiutarli a scoprire quali sono le proprie risorse, come attingervi e come trovarne di nuove.

Durante il percorso con il settore giovanile ci saranno momenti di campo ed esperienze di gruppo dove si andranno ad affrontare alcuni aspetti psicologici fondamentali del contesto sportivo (emozioni, attenzione, motivazione, gestione dell'errore, comunicazione...).

Il percorso che intraprenderemo dovrà essere un'esperienza che permetta ai giovani atleti di confrontarsi, esplorare e conoscersi in un contesto sicuro. Non c'è contesto migliore dello sport per lavorare con i ragazzi poiché questo è alla base della crescita individuale e collettiva all'interno della nostra società.



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