Si sa, in Italia, ma a Firenze in particolar modo, il gioco del calcio, non solo come sport in sé, ma come l’insieme di tutte le cose che gli orbitano attorno, fa la voce grossa.
In tal senso, nasco ‘calciofilo’ : mio padre ha giocato a calcio tutta la vita, raggiungendo anche dei buoni risultati, mio nonno giocava a calcio nel suo paesino d’origine; nato a Firenze, con questo bagaglio culturale, non poteva che finire in un solo modo : c’è solo la Fiorentina.
Vi starete quindi chiedendo dove sia il nesso, tra il sottoscritto e la pallacanestro.
Chi mi conosce bene sa che sono sempre stato un bimbo timido, vivace si, ma che fa fatica a relazionarsi con tutto ciò che non rientra nelle sue ‘zone di comfort’.
Provo a giocare a calcio, più volte, ma mi scontro con un ambiente terrificante, con tante difficoltà d’inserimento, con l’allontanamento dai miei amici.
Allora torno indietro, e scelgo il basket per stare con gli amici, conta star bene e fare attività, non importa se una volta arrivati a casa, ci si sieda sul divano a guardare una partita di Champions League piuttosto che a parlare di cosa avesse fatto la Fiorentina.
Quando si entra in palestra, la palloniera si apre, ognuno prende il proprio pallone, e come sempre è stato, ognuno cerca di emulare le gesta dei propri idoli.
“Io ho il numero 29, sono Pazzini !”, urla un mio compagno, “io ho il 30, Luca Toni !”, fa un altro.
Gli allenamenti passano, ed ogni momento iniziale sembra ripetersi : si prendono i palloni, si urla il nome e il numero di un giocatore di calcio, e si inizia a tirare a canestro (che cosa assurda).
Fino a quando, una domenica, la mia personale visione dello sport venne stravolta ; al classico orario pomeridiano in cui ci sarebbe dovuta essere la Fiorentina, mio padre non mette il canale payperview dove solitamente guardiamo i Viola.
"Non gioca la Fiorentina ?" -No-.
"E che si fa ? Che guardiamo?"
Mio padre, non sapendo che con quel gesto avrebbe cambiato per sempre la mia vita, inizia a fare zapping, fino a quando arriviamo sul canale “Sportitalia”.
In differita, giocata nella notte, una partita NBA, Los Angeles Lakers-Dallas Mavericks.
Epifania.
Il numero 24 dei gialli (i Lakers,ndr) fa dei canestri bellissimi, io ai primi approcci con quello sport rimango subito affascinato, non riuscivo nemmeno ad immaginare che si potessero fare quelle cose con la palla, in aria, contro gli avversari, che spettacolo.
Un’ora e mezzo appiccicato davanti allo schermo, è bellissimo, lo voglio fare anche io, quando arriva il prossimo allenamento? non vedo l’ora di dirlo a tutti i miei compagni,
babbo ma questo numero 24 come si chiama ?
Si chiama Kobe Bryant,è il figlio di un ex giocatore di pallacanestro che ha giocato anche in Italia.
Seconda Epifania.
Kobe Bryant, e fa quelle cose, sullo stesso campo in cui gioco anche io,
con quel numero 24 sulla schiena.
Arriva l’allenamento successivo, si apre il lucchetto della palloniera, si scelgono i numeri di maglia di giocatori da emulare “io sono il 10 sono Mutu!”, “io sono l’1 sono Frey !”, prendo anche io la mia palla, la lascio rimbalzare a terra, guardo i miei amici tronfi, per aver ‘prenotato’ i numeri dei giocatori migliori, ed esclamo :
”io sono il 24, perché il 24 è il numero di Kobe Bryant!”.
Sguardi attoniti dei compagni attorno.
Qualcuno abbozza un sorriso di approvazione.
A molti in realtà non interessa un granché la mia scelta.
Da quel momento in poi è stato come aver aperto il vaso di Pandora, non vi è stato più talento generazionale calcistico che tenesse il confronto : volevo giocare a basket, guardare in tv il basket, ed emulare, almeno nella mia immaginazione, quel ragazzo con la maglia gialla e viola che mi aveva aperto le porte di un nuovo universo :
io, volevo essere Kobe Bryant.

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