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COME SI FA A NON ESSERE ROMANTICI CON LA PALLACANESTRO

Quartiere Delta

E’ tardi, gli juniores si allenano alle 20.00, dall’isolotto mio fratello viene accompagnato in palestra dalla mamma. Io sono appena nato, piango, faccio le bizze, ho fame e la mamma, tra uno sguardo al figlio grande e un punto di maglia, trova il tempo di farmi mangiare.

Questo è il primo approccio in assoluto che ho avuto con questo fantastico mondo che è la pallacanestro, un imprinting, io in palestra ci sono nato.


Ho 4 anni, questo giochino mi ha già intrappolato, d’altra parte non ho visto altro in questi primi anni, voglio giocare sempre, mi brucio gli occhi al televisore, consumo i nastri dei VHS di mio fratello e mio padre. 

A fine del primo anno di asilo si tiene la classica festa in maschera con i saluti alle maestre e ai genitori, tutti i bambini si devono vestire da quello che preferiscono.

Tra principesse, gatti, vigili del fuoco (giuro, c’è anche uno spazzacamino), mi trovo ad essere quello diverso, quello che si vuole vestire come il suo idolo, che lo vuole imitare in tutto, la mamma si arma di pazienza, mi compra una bella canottiera bianca e davanti ci scriviamo “Chicago” con un piccolo 23 appena sotto la scritta.

Dietro, a lettere cubitali, “JORDAN”, un altro 23; ma non è abbastanza, la mamma prende i trucchi, ed in un attimo mi ritrovo a schiacciare a due mani nel mio canestrino con la pelle più scura del solito, la folla in delirio.


Flash forward, a Firenze la pallacanestro non piace, ma c’è un’altra città vicina che invece l’abbraccia e costruisce il suo impero, Siena.

Un sabato si e uno no (le trasferte mi sono state, giustamente, state vietate) prendiamo la macchina, direzione Pala Sclavo.

Non sono un tifoso, mi godo la bellezza dell’amore dei senesi per la loro squadra, guardo il riscaldamento, controllo le scarpe di tutti i giocatori, Romain Sato, Terrell McIntyre, Shaun Stonerook, Benjamin Eze, quanto vorrei essere li in mezzo con loro.  

Cala il silenzio al Pala Sclavo, dalla curva si levano le voci che intonano la Verbena.. ripeto di non essere un tifoso, ma Gesù che belli i senesi.


Ho la fortuna di giocare in una società che partecipa ad un campionato nazionale, piano piano riesco a togliermi delle soddisfazioni, le prime convocazioni con la prima squadra, giro l’Italia facendo il giovane in mezzo ai grandi che giocano davvero, non saranno Stonerook o Sato, ma diavolo mi sembra che il sogno si possa avverare. 


Poi la dura verità, con questo giochino non ci si campa, a meno che tu non sia davvero, davvero forte, ed io non ci sono nemmeno vicino. 

Passo dei mesi a chiedermi perché, dove e quando ho sbagliato, mi abbatto, ma continuo a provarci un altro po', faccio qualche anno di serie C, ne vinco una, il sogno si riaffaccia!

Inizia il nuovo anno, non vengo confermato, ho 22 anni e il sogno adesso è finito. 


COL SENNO DI POI...LA COSA MIGLIORE CHE MI SIA MAI SUCCESSA.


Mi ritrovo a giocare con quelli che, quando avevo 16 anni e loro 19, mi hanno insegnato come non si debba essere professionisti per comportarsi come tali, mi rimproveravano.. Hanno tirato fuori il meglio di me. Ero il loro fratellino e sono diventati gli amici di una vita. 


Grazie a loro, a tutti i ragazzi che sono passati a giocare con noi negli anni successivi, ho capito. Non è importante il livello a cui si gioca, non è importante quello che tu dai alla pallacanestro, ma è quello che ti lascia lei, il vero grande sogno. 

Sono 25 anni che dedico una buona fetta di vita a questo sport, pensavo di doverne tirar fuori soldi, fama, visibilità, lei invece (la pallacanestro) mi ha ripagato con affetti, con valori umani, con felicità.


Come si fa a non essere romantici con la pallacanestro..?





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